Nagorno Karabakh, un anno dopo

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Foto © Roberto Travan

Nagorno Karabakh: un reportage dal fronte di una guerra iniziata nei primi anni Novanta, della quale si parla poco e per la quale non si riesce a trovare una soluzione. Il servizio Nagorno-Karabakh, la pace può attendere del fotoreporter Roberto Travan recentemente pubblicato sul quotidiano La Stampa fa il punto della situazione sul conflitto e racconta le conseguenze sulla popolazione armena della repubblica de facto. Un territorio che si è autoproclamato indipendente, ma che non è stato riconosciuto da alcuno stato, e ufficialmente si trova quindi in territorio azero. Dal 1994 vige la tregua siglata con l’Azerbaigian, che ha congelato una guerra cruenta in un conflitto a bassa intensità che continua a produrre vittime tra le truppe armene e azere schierate lungo il fronte.

Mi trovavo a Stepanakert, Martakert e negli altri luoghi descritti da Roberto Travan esattamente un anno fa, quando mi recai per la seconda volta in Karabakh, o meglio  Artsakh, come lo  chiamano gli armeni utilizzando l’antico nome armeno della regione contesa. La prima volta ci andai per visitare il Paese e raccogliere le informazioni necessarie per realizzare la mia guida Armenia e Nagorno Karabakh; la seconda volta viaggiai con il giornalista Marco Merola e il fotografo Enrico De Santis, autori del reportage successivamente pubblicato sul settimanale Sette. La prima parte del loro reportage, pubblicata l’11 settembre 2015, s’intitolava Il “Paese che non c’è” cresce del 10% annuo ed evidenziava i progressi economici e infrastrutturali del Karabakh, enclave armena in territorio azero, che in quanto repubblica non riconosciuta non ha sbocchi commerciali e può comunicare solo tramite l’Armenia. I lavori per costruire la nuova strada nord-sud, nuove centrali idroelettriche, lo sfruttamento delle miniere d’oro e rame, e gli investimenti per rafforzare l’economia e creare posti di lavoro annunciati dal primo ministro Ara Harutyunyan mi erano sembrati segnali incoraggianti.

Un anno dopo, mii ha impressionato molto il reportage di Roberto Travan: testi e foto che testimoniano le conseguenze in termini di distruzione e disperazione prodotte dai combattimenti dello scorso aprile, quando le truppe dei due eserciti si sono scontrate lungo le trincee sul confine militarizzato, come avviene spesso. Questa volta però si sono aggiunte incursioni e lanci di razzi che hanno colpito case, scuole e altri edifici nei villaggi adiacenti al confine, con numerose vittime tra i civili, compresi anziani e bambini. Dopo questi fatti, mentre le due parti continuano a lanciarsi accuse a vicenda e i negoziati sembrano arrestarsi, la speranza di una soluzione del conflitto sembra diventare sempre più inconsistente, mentre per la popolazione si allontana la possibilità di vivere in condizioni di sicurezza. Le splendide foto in bianco e nero di Roberto Travan mostrano militari, civili e perfino bambini che vivono in un Paese dove la guerra è diventata parte integrante della loro quotidianità. E tutto fa pensare che la situazione non migliorerà nel breve periodo.

 

Il reportage Nagorno-Karabakh, la pace può attendere di Roberto Travan pubblicato su La Stampa ha destato la reazione dell’ambasciatore azero che ha inviato una nota, riportata in calce al reportage sul sito web del quotidiano con la replica del giornalista.

l servizio Nagorno-Karabakh, la pace può attendere è pubblicato da Nikon.

Roberto Travan

Roberto Travan

Roberto Travan, giornalista professionista e fotografo, ha seguito le missioni militari italiane in Afghanistan, Repubblica Centrafricana e Kosovo. Ha inoltre documentato la guerra in Ucraina e le tensioni sociali in Armenia e Tunisia. Per i recenti servizi realizzati in Nagorno-Karabakh, è stato dichiarato “persona non grata” dall’Azerbaigian, paese in cui non potrà entrare nei prossimi cinque anni. I suoi servizi sono stati pubblicati da La Stampa – giornale in cui lavora dal 1989 – e tradotti all’estero. Da diversi anni collabora con Nikon.

 

 

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